domenica 31 dicembre 2017

Buona fine e buon principio


Poche ore ci separano, ormai, dalla fine dell'anno corrente e dall'inizio di quello successivo. Il momento storico è quello che è (uno dei più infimi dal dopoguerra) e probabilmente non è il caso di lasciarsi andare ad auguri affettati e difficilmente concretizzabili (basti osservare le qualità dei candidati alla imminente campagna elettorale). Ritengo, anzi, spiritualmente più redditizio scarnificare le attuali festività e ricondurle alla nostra effettiva capacità di fruizione e lo faccio riassumendo (spero in modo decente) l'editoriale che il grande Enrico Vaime ha declamato ieri mattina in "Black Out", storica trasmissione di Radio 2.


In questo periodo dell'anno, siamo più confusi del solito. Siamo pervasi da un desiderio di bontà ma forse il termine è eccessivo: più che di bontà, è un desiderio di serenità, un bisogno di tranquillità d'animo, in un momento in cui vorremo ritrovarci circondati da quel calore umano che non sappiamo neanche definire con le parole, anzi chissà quante difficoltà incontriamo nel tentativo di praticare questa partecipazione sentimentale di cui sappiamo solo parlare (all'orale siamo sempre bravi). Il periodo natalizio è un granitico test per quanti vogliono confermare la generosità della propria natura, messa alla prova da una quotidianità che riesce, nella sua nullità, crudeltà e, spesso, banalità, a sgretolare anche le migliori intenzioni. Molti cadono nell'equivoco suggerito da atmosfere e scenografie create per gratificarci, farci sentire diversi, migliori, comunque recuperabili a una convivenza che, anche se non è basata sull'amore per il prossimo, guarda con nostalgia a una tolleranza che ormai sembra utopica. In questi giorni vince la nostalgia per quello che avremmo voluto e non siamo riusciti a essere. I canti natalizi sciolgono certe nostre egoistiche resistenze e per il tempo di un refrain siamo (o, meglio, crediamo di essere) migliori di quanto la vita nella sua banale ripetitività ci ha fatto diventare. La facile commozione ci trasforma per pochi attimi in umani sensibili e generosi, pronti alla partecipazione di intenti e sentimenti. Ma i canti natalizi durano poco, così come la sensazione di questo cambiamento morale. E vorremmo coprire le lacune della nostra ignoranza emozionale con le speranze personali di ognuno, vorremmo essere amati, noi che abbiamo difficoltà ad amare, e vorremmo che le stelle del cielo di queste notti particolari ci guardassero con tenerezza, si occupassero di noi, soccorressero le nostre debolezze senza pretendere, da parte nostra, altro che un'onda sentimentale che nasce spontanea non per nostri meriti ma grazie alla musica, all'atmosfera, alla scenografia. Sentiamoci migliori, nonostante tutto. 

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