domenica 29 aprile 2018

Telefonini


Ormai è raro incontrare persone che non stringano in mano un cellulare. È una protesi inventata da chi non sa gestire la propria esistenza con mezzi normali ma ha bisogno di un tutore, ossia del telefono portatile anche detto, con termine inutilmente affettuoso, telefonino. C'è chi si domanda come si sia sopravvissuti negli anni passati, quando i telefoni erano mezzi di comunicazione e non simboli supportati o protesi: mi sembra di poter dire che ce la siamo cavata anche senza le continue conferme di esistenza in vita ottenute da un portatile nel quale riversiamo e riceviamo informazioni di assoluta e spesso soporifera normalità. Il conoscere lo stato d'animo di un interlocutore può essere utile o soltanto fastidioso. Io propendo per questa seconda constatazione: aumentano i cellulari, detti affettuosamente telefonini, e diminuisce l'importanza dei messaggi. La loro frequente presenza rende normali le comunicazioni, le notizie ravvicinate finiscono per diventare una soporifera routine e, a volte, un soporifero sottofondo. Un tempo si utilizzava il telefono per le emergenze o per le comunicazioni che richiedevano una velocità di trasmissione che solo col telefono si poteva ottenere. La suoneria dell'apparecchio squillava di rado perché l'uso della telefonia era principalmente rivolto alle emergenze, tanto che il trillare del telefono allarmava il destinatario. Oggi, dopo un trillo, veniamo a conoscenza di argomenti che non hanno bisogno di urgenza. Drin! "Ciao, Giampiero! Che stai a fa'?" Si rispondeva, negli anni passati, a domande che non avevano il solo scopo di ingannare il tempo e che, comunque, erano più interessanti della routine, perché la nostra quotidianità veniva rispettata da una telefonia usata utilmente e con cautela. Ora, invece... Drin! "Ciao, Giampiero! Che stai a fa'?".

(Enrico Vaime)

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