Cellulari
Credo che, almeno una volta nella vita, sia capitato a tutti di inveire contro il proprio cellulare quando, con tutte le sue molteplici funzioni, limita le nostre libertà (di movimento, di espressione e, qualche volta, anche di pensiero) e di rimpiangere, se non proprio i tempi in cui, di fatto, eravamo più liberi perché il telefono non era direttamente legato a noi ma ai fili di casa o a quelli di una cabina pubblica, i tempi della forma primordiale della comunicazione portatile, delegata ad apparecchi più ingombranti di quelli attuali ma abilitati soltanto a fare e ricevere chiamate (peraltro anche abbastanza costose e, di conseguenza, legate a contingenze di un minimo rilievo).
A me è capitato di maledire il cellulare (per motivi su cui non è il caso di soffermarsi) proprio nei giorni scorsi, mentre stavo andando in pausa pranzo (che, ormai, faccio da solo perché, anche se ci vado con qualche collega, ognuno finisce per interagire col proprio cellulare e qualsiasi conversazione, per quanto interessante, è patologicamente soggetta a plurime interruzioni). Però, una volta sistematomi al tavolo, la mia attenzione è stata attratta da un tizio che pranzava anche lui da solo e gesticolava davanti al cellulare posizionato di fronte. In un paio di secondi ho arguito che si trattava di persona affetta da sordomutismo e che, tramite videochiamata, stava comunicando con qualcuno tramite il linguaggio dei segni, operazione che non gli sarebbe stata possibile con la tecnologia telefonica da me rimpianta pochi minuti prima.
Insomma, ancora una volta la vita ha smentito i miei egoistici rimpianti dimostrandomi, ulteriormente, come certe croniche deviazioni mentali e comportamentali non siano ascrivibili alla tecnologia in sé ma all'eccessivo uso e, soprattutto, abuso che ne facciamo.
Etichette: Fuori parrocchia
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