Il Sabato sauro del villaggio - Riflessioni su quel che ci accade a nostra insaputa o meno
Ho sempre pensato che le abitudini finiscano, alla lunga, per condizionare la nostra percezione della realtà, e ne ho avuta ulteriore conferma questa settimana. Da diversi mesi, ormai, vado in ufficio in compagnia di una graziosa signorina che lavora nello stesso stabile dove presto servizio io, anche se dipendiamo da amministrazioni diverse. Ogni mattina viene a prelevarmi con la sua automobile fin quasi sottocasa, attendendo pazientemente il mio arrivo e ribaltando, del tutto involontariamente, quel trito luogo comune secondo cui una bella donna si fa sempre attendere: in questo caso, infatti, è una bella donna ad aspettare me. Mediamente, comunque, intorno alle 7,15 partiamo e poco dopo le 7,20 siamo già in ufficio.
La suddetta signorina ha accusato, di recente, qualche problema otorinolaringoiatrico che ne ha temporaneamente compromessa la voce, e soltanto pochi giorni addietro è rientrata nel pieno possesso delle sue facoltà vocali (per quelle mentali, purtroppo, non c’è più speranza), sicché, per festeggiare l’evento, ha folleggiato tutta la notte, è rientrata a casa alle prime luci dell’alba e, come conseguenza fisiologica, si è assentata dal lavoro per una giornata, facendo ricorso a quel sacro istituto noto come “ferie”.
Ne è derivato che ho dovuto raggiungere l’ufficio a piedi (impresa, in verità, tutt’altro che improba, trattandosi di soli venti minuti di cammino), ma lo sfalsamento della consueta metodicità oraria mi ha consentito di prendere atto di certe situazioni che, altrimenti, difficilmente avrei soltanto ipotizzato.
In particolare, mi sono imbattuto in un mendicante extracomunitario storpio, che qualche volta mi capita di incrociare nella zona di S. Anna quando è già intento a chiedere l’elemosina. Ed ho costatato, con una certa sorpresa, che tale personaggio non è afflitto da alcuna menomazione fisica, anzi cammina benissimo e la stampella è semplicemente uno strumento di lavoro, tant’è che la portava sottobraccio con la stessa disinvoltura con cui un dipendente pubblico come il sottoscritto può portare sottobraccio una cartella di documenti.
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La recente sortita del senatur Umberto Bossi circa i clandestini extracomunitari (“Fuori dalle balle!”), che, tutto sommato, riflette anche il pensiero di tanti antileghisti, ci fa comprendere quanto siamo distanti dal modello di società multietnica che si va progressivamente e fisiologicamente imponendo. E che, come suggeriscono le Sacre Scritture, potremmo accettare soltanto sgrassando il nostro cuore fino a renderlo pulito e candido come quello dei fanciulli. Vi propongo, di seguito, una foto che ho scattato in parrocchia Sabato scorso: si notano due bambine (la più piccola è la nipote del sottoscritto) che giocano tranquillamente a calciobalilla con due bimbi figli di emigrati extracomunitari (uno è filippino e l’altro è africano). Al termine di ogni partita, i quattro bimbi riprendevano a giocare formando nuovi abbinamenti, e per nessuna delle femminucce è stato un problema associarsi con un amichetto di diversa etnia. In verità, è stata una scena che mi ha fatto riflettere parecchio…
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