Il Sabato sauro del villaggio - Riflessioni su quel che ci accade a nostra insaputa o meno
Anche qui al Loreto, in occasione della Settimana Santa, si sono tenuti i consueti riti religiosi (Via Crucis di quartiere, la messa del Giovedì con la lavanda dei piedi, il bacio della Croce, ecc.), cui hanno aderito numerosissimi fedeli che poi si guarderanno bene dal farsi rivedere in parrocchia fino al prossimo Natale (il parroco li definiva, forse fin troppo bonariamente, i pasqualini e i natalini).
Intendiamoci: non è che la stragrande maggioranza di loro sia peggiore di chi milita attivamente nell’associazionismo cattolico e poi è pronto a svendere se stesso e il proprio credo per molto meno di trenta denari, ma negli ultimi anni ho sviluppato una tale insofferenza fisica nei riguardi di entrambe le categorie che, ogni qualvolta giungono le festività pasquali, vado alla costante ricerca di alibi che possano giustificare la mia mancata partecipazione alle cerimonie sopracitate e, soprattutto, il conseguente personale mescolio con gente poco gradita.
Giovedì, per esempio, mi sono trattenuto al lavoro fino alle ore diciotto, il che costituiva una valida (più o meno) scusante per assentarmi dalla messa che aveva inizio allo stesso orario, mentre ieri pomeriggio ho avuto l’occasione – che sospiravo da mesi! - di fare una passeggiata sul Corso Garibaldi con una signorina di straordinaria bellezza (provate, se vi riesce, a immaginare una versione migliorativa della conduttrice televisiva Elisa Isoardi e capirete che sto parlando di una magnificenza assolutamente limitrofa alla divinità olimpica).
Premesso che la vicenda è destinata (purtroppo) a sviluppi assolutamente platonici (la signorina è felicemente [dice lei] impegnata), garantisco che il solo camminare accanto a siffatto splendore mi ha donato inebriamenti e sensazioni davvero difficili da trasporre in un linguaggio avulso da farneticazioni. Senza parlare, poi, degli sguardi d'invidia lanciatimi da tanti passanti e che diventavano - un po' infantilmente, lo ammetto - ulteriore motivo di compiacimento.
Comunque in ogni evento della vita c’è un rovescio della medaglia e anche questa circostanza, ovviamente, non ha fatto eccezioni: la signorina ha un’intensa attività sociale e vanta tantissime conoscenze, specialmente nell’elite cittadina, e questo ha comportato che, ogni dieci metri circa, ella si fermasse per salutare qualche amico o amica di tutto riguardo, per cui la passeggiata si è svolta a tappe. Anzi in tantissime tappe. Molto più numerose, in fin dei conti, delle quattordici stazioni previste dalla Via Crucis tradizionale.
Intendiamoci: non è che la stragrande maggioranza di loro sia peggiore di chi milita attivamente nell’associazionismo cattolico e poi è pronto a svendere se stesso e il proprio credo per molto meno di trenta denari, ma negli ultimi anni ho sviluppato una tale insofferenza fisica nei riguardi di entrambe le categorie che, ogni qualvolta giungono le festività pasquali, vado alla costante ricerca di alibi che possano giustificare la mia mancata partecipazione alle cerimonie sopracitate e, soprattutto, il conseguente personale mescolio con gente poco gradita.
Giovedì, per esempio, mi sono trattenuto al lavoro fino alle ore diciotto, il che costituiva una valida (più o meno) scusante per assentarmi dalla messa che aveva inizio allo stesso orario, mentre ieri pomeriggio ho avuto l’occasione – che sospiravo da mesi! - di fare una passeggiata sul Corso Garibaldi con una signorina di straordinaria bellezza (provate, se vi riesce, a immaginare una versione migliorativa della conduttrice televisiva Elisa Isoardi e capirete che sto parlando di una magnificenza assolutamente limitrofa alla divinità olimpica).
Premesso che la vicenda è destinata (purtroppo) a sviluppi assolutamente platonici (la signorina è felicemente [dice lei] impegnata), garantisco che il solo camminare accanto a siffatto splendore mi ha donato inebriamenti e sensazioni davvero difficili da trasporre in un linguaggio avulso da farneticazioni. Senza parlare, poi, degli sguardi d'invidia lanciatimi da tanti passanti e che diventavano - un po' infantilmente, lo ammetto - ulteriore motivo di compiacimento.
Comunque in ogni evento della vita c’è un rovescio della medaglia e anche questa circostanza, ovviamente, non ha fatto eccezioni: la signorina ha un’intensa attività sociale e vanta tantissime conoscenze, specialmente nell’elite cittadina, e questo ha comportato che, ogni dieci metri circa, ella si fermasse per salutare qualche amico o amica di tutto riguardo, per cui la passeggiata si è svolta a tappe. Anzi in tantissime tappe. Molto più numerose, in fin dei conti, delle quattordici stazioni previste dalla Via Crucis tradizionale.
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Più volte mi sono chiesto se l’educazione che hanno cercato di darci i genitori, abbia infine avuto una sua utile ricaduta. L’impressione epidermica è che, purtroppo, essere educati non serva a nulla e rischi, anzi, di allontanarci irrimediabilmente dalla vita pubblica, sempre più ignorante e volgare. Tale trend è forse irreversibile, tanto che sembra pura utopia il solo pensiero di poter impostare un qualsiasi confronto rapportandosi ad un minimo livello di civiltà.
Domenica scorsa, per esempio, mi trovavo presso il teatro del Loreto, dove ho assistito ad una commedia in vernacolo in cui, a un certo punto, il personaggio principale si produceva in un’esclamazione abbastanza volgare, peraltro ampiamente giustificata dal contesto della vicenda.
Domenica scorsa, per esempio, mi trovavo presso il teatro del Loreto, dove ho assistito ad una commedia in vernacolo in cui, a un certo punto, il personaggio principale si produceva in un’esclamazione abbastanza volgare, peraltro ampiamente giustificata dal contesto della vicenda.
Nella mia stessa fila, a un paio di sedili di distanza, c’era un bimbo di non più di tre anni, che ha subito dimostrato notevole confidenza con quel turpiloquio, ripetendo più volte la stessa espressione, e lamentandosi, anzi, perché l’attore non si lasciava andare ad altre invettive parimenti scurrili. Indi ha dato ampia dimostrazione della sua familiarità con la materia, esponendo uno sterminato campionario verbale di parole e/o imprecazioni poco commendevoli. Il tutto sotto lo sguardo benevolo e compiaciuto della nonna, della mamma e di alcune giovani zie. E non appena uno spettatore ha chiesto di far cessare l’imbarazzante fuori programma, una delle suddette giovani zie lo ha invitato a farsi i fatti propri (anche se, per la verità, non ha detto “fatti”, ma ha utilizzato il sinonimo più triviale di tale termine). Lo spettatore, assolutamente sconcertato, ha incrociato il mio sguardo, quasi invocando, con una smorfia del viso, qualche parola di solidarietà. Sono riuscito soltanto a dirgli: “Berlusconi ce lo meritiamo”. E lui, rassegnato, ha chinato il capo in segno di assenso.
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