sabato 15 febbraio 2014

Il Sabato sauro del villaggio - Riflessioni su quel che ci accade a nostra insaputa o meno


I Giovedì di Don Matteo


Abbiamo la nettissima sensazione che il successo di Don Matteo vada ben oltre i dati dedotti dall'Auditel sulla base dei televisori campionati: il Giovedì sera le strade si svuotano molto più velocemente rispetto agli altri giorni feriali e il motivo principale della frettolosa desertificazione viaria è da individuare proprio nell'appuntamento delle 21,15 con la nota fiction di RAI 1.

Cominciamo con l'evidenziare che, tradizionalmente, la tonaca allunga la vita, quantomeno quella che si sviluppa dinanzi alle macchine da presa: nel 1970, dopo un certo periodo di eclissi, il buon Renato Rascel (spalleggiato da un grande Arnoldo Foà) impersona Padre Brown e conosce la sua rinascita artistica e finanche sentimentale, giacché sul set incontra l'attrice Giuditta Saltarini, di trent'anni più giovane, che diviene la sua terza moglie; nel 2000 l'abito talare rialza, invece, la carriera di Terence Hill, sottraendola al graduale declino cui sembrava inesorabilmente avviata dopo la fisiologica estinzione della felice stagione cinematografica con Bud Spencer.

I motivi per cui Don Matteo riscuota una così clamorosa popolarità sono stati ampiamente analizzati tanto dalla critica televisiva quanto dalla sociologia qualificata e/o spicciola, e, pertanto, non ci sembra eccessivamente velleitario esporre anche il nostro modesto parere in proposito: Don Matteo piace perché, nonostante la sua morigerata mission, nel contingente contesto sociale risulta altamente trasgressivo, assolvendo a quella funzione quasi catartica che, per esempio, fra il 1962 e il 1973, in piena vigenza del boom economico, era stata spontaneamente delegata ai cosiddetti fumetti neri, ossia Diabolik, Kriminal, Satanik e soggetti similari, tracimanti di amori lussuriosi, delitti e altri vizi assortiti. Ci spieghiamo meglio: nel periodo sopra evidenziato, quando non era difficilissimo trovare lavoro in patria (tranne per chi difettava della voglia di faticare) e il futuro non era soltanto un'ipotesi (per citare il buon Enrico Ruggeri), la virtuale evasione da un sistema di vita abbastanza rassicurante non poteva che essere conferita alle terrificanti gesta di personaggi irregolari (che nessuna mente sana, comunque, avrebbe mai pensato di imitare); oggi, che la normalità si configura quasi come un'irraggiungibile utopia, sono in tanti a trovare conforto nei rasserenanti comportamenti cristiani di Don Matteo, trascurando i prevedibili sviluppi gialli (giacché il colpevole è individuabile subito dopo i titoli di testa) nonché certi paradossi voluti (per esempio: la provincia di Perugia - dove anche un banale tamponamento occupa per giorni la prima pagina dei quotidiani locali - che assurge a metastatico territorio della tendenza a delinquere) e altri paradossi involontari (per esempio: il maresciallo Cecchini/Frassica, che nella vita reale non ha prole, viene consolato per la tragica scomparsa della figlia da Don Matteo/Hill, che, invece, nella vita reale un figlio lo ha perso davvero). E anche Don Matteo, comunque, nella vera realtà vanta pochissimi emuli, giacché la maggioranza degli spettatori si guarda bene dal ricalcarne la meritoria condotta: chiunque abbia avuto la ventura di frequentare una o più parrocchie, sa bene che quella dell'accoglienza è l'opzione meno praticata in assoluto da chi bazzica quegli ambienti, dove un'eventuale ragazza madre - giusto per limitarci ad uno dei tanti esempi possibili - viene generalmente emarginata o, più preferibilmente, messa in condizioni di ripiegare altrove.
E' innegabile, tuttavia, che la fiction sortisca l'effetto minimo di donare ai suoi fidelizzati una sorta di placebo esistenziale, inesorabilmente destinato a precoce evaporazione sin dalle prime ore della giornata successiva, dinanzi al confronto con la personale sequela di problemi quotidiani. Se, come continua a suggerire Don Matteo su input cristologico, la rivoluzione che può salvarci tutti è soltanto quella che deriva dall'amore verso sé stessi e il proprio prossimo, purtroppo temiamo che - visti i tempi correnti - essa debba essere tristemente rinviata a data da destinarsi.

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