Il Sabato sauro del villaggio - Riflessioni su quel che ci accade a nostra insaputa o meno
Mi ricollego all'editoriale di Sabato scorso e al commento rilasciato da Alessia, riproposto qui di seguito:
Spesso i cattolici praticanti sono proprio i peggiori cattolici e io ne so qualcosa. Quanto a Fiorello, se in tanti lo vedono come l'erede di Walter Chiari, qualcosa di buono deve avere ma forse fare una trasmissione quotidiana gli nuoce e il ripiego verso il doppio senso è una diretta conseguenza, il che nulla toglie all'ipocrisia di certa gente. Non ti curar di loro...
Per quella che è la mia esperienza, non farei un unico fascio (specialmente in una città a vocazione destrorsa come Reggio Calabria) dei cattolici praticanti, che - personalmente - distinguerei in due categorie: cattolici da campo, che si mobilitano con ammirevole efficacia dinanzi a quei fenomeni sociali che richiedono anche la necessità di sporcarsi le mani (vedi, per esempio, il recente sbarco in città di oltre 500 migranti, dove l'ausilio del volontariato cattolico ha consentito di tamponare al meglio l'emergenza) e cattolici da sacrestia, predestinati tanto all'inane prolissità verbale quanto al disimpegno pratico, sempre pronti ad edificare inutili palazzi di vacue parole, a presenziare alle ineluttabili riunioni dei centri diocesani e a dare eco, tramite Facebook o altri social network, alla loro imprescindibile opinione. Il vero problema - sempre a mio personale parere - sono proprio i cattolici da sacrestia, apparentemente accoglienti e tolleranti fino a quando, se fai ricorso all'ironia, non li metti nel sacco della loro inutile retorica. E ne avrei di storie da raccontare...
Quanto a Fiorello - sempre a mio personale parere, beninteso - l'accostamento con Walter Chiari, compreso - se vogliamo - anche un triste periodo che li accomuna per moderato consumo di stupefacenti, ci può stare: c'è in entrambi una certa genialità (più meditata e filtrata da quasi inderogabili basi culturali in Chiari, decisamente più naif in Fiorello) e un carisma da intrattenitori che non è, automaticamente, innato patrimonio di chiunque abbia ambizioni da anchorman. Il loro naturale talento, però, ha reso al meglio quando è stato proficuamente imbrigliato da autori di un certo spessore, e, come Walter Chiari non è stato più lo stesso al netto - mettiamo - di un Marcello Marchesi o di un Leo Chiosso, lo stesso può dirsi di un Fiorello avulso dai supporti - mettiamo - di un Marco Lolli o di un Alberto Di Risio (fra i suoi mentori nel successo di Viva Radio 2).
Io ebbi la (s)fortuna di vedere Walter Chiari dal vivo, qui a Reggio Calabria, nei primissimi anni '80, in occasione delle festività patronali, e di essere uno fra i tanti testimoni della sua parabola discendente: il suo breve recital fu costellato di volgarità gratuite e finanche da qualche bestemmia, arbitrariamente erogata nella trasgressiva rivisitazione di una barzelletta già nel repertorio di Gino Bramieri e il numeroso pubblico pubblico presente, alquanto perplesso, trasmetteva la netta impressione di applaudirlo (a stento) soltanto in omaggio al suo glorioso passato. Ricordo, in particolare, un triste monologo sull'aggettivo "fico" (forse qualcuno fra i lettori rammenta che Pippo Franco costruì, su tale termine, una sigla di Sanremo e un discreto successo discografico) che egli riteneva dovesse avere declinazione esclusivamente femminile, tanto da affermare perentoriamente: "Alla prossima donna che mi dice che sono un bel fico, risponderò che lei è una bella cazza!". Ecco, in certi momenti Fiorello (le cui battute tendono, sempre più spesso, a privilegiare strade a senso unico anziché a doppio senso) mi dà l'idea di poter fare la stessa fine...
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